Una Balena blu, e io che credevo che Moby Dick avesse cambiato colore.
Tutti gli adolescenti sono alla ricerca, forse più che in ogni altra età del ciclo di vita, l’adolescenza è il tempo della sperimentazione, del viaggio, dell’uscita dal gruppo familiare.
C’è una doppia prova da vivere: il gruppo dei pari viene assunto a cornice dei propri giorni e al tempo stesso vengono messi alla prova i legami con la famiglia di origine da cui ci si stacca gradualmente.
Alle prove esterne corrisponde una sperimentazione interna, una trasformazione del mondo interno, non si è né ‘piccoli’ né ancora adulti.
Domande esistenziali importanti si affacciano e prendono sempre di più forma.
Gli adolescenti vivono continui salti nel vuoto, lo so è una espressione che in questo momento potrebbe essere fuori luogo, ma non è a caso che la che uso.
Nei grandi romanzi formativi di un volta, i giovani protagonisti andavano alla ricerca del senso ‘delle cose della vita’, portavano ‘nel mondo’ la loro domanda di senso.
Non tornavano credo con delle risposte ma con una ‘sensazione’, una trasformazione.
A tornare diverso era il loro corpo innanzitutto, partiti ragazzi tornavano uomini.
E quale è la Differenza?
Quale è la differenza, tra un adulto e un adolescente, davanti al baratro che la vita ci mette dinnanzi nelle ore buie della nostra ricerca?
E’ la consapevolezza del continuare a vivere malgrado il vuoto, è la spinta continua a tenere viva la domanda di senso.
Il passaggio tra la fanciullezza e l’età adulta è sempre stato favorito da riti che come ponti conducevano in un’altra fase dell’esistenza. Come in un romanzo, ognuno costruiva la propria storia, per qualcuno era una tragedia, per altri una commedia, per la maggior parte degli esseri umani una miscela di eventi tragicomici che davano comunque la sensazione di essere parte integrante di una vicenda umana più complessa.
Ma… ma noi viviamo in un epoca in cui tutti i riti di passaggio sono quasi messi al bando, non c’è nessuna narrazione condivisa per i nostri ragazzi, non c’è nessuna trama che come una rete sostenga.
L’unica trama che illusoriamente offriamo è un mondo virtuale, un mondo mediatico, un mondo senza corpi, senza profondità. Tutto è costruito e distrutto in pochi attimi. Le identità si formano e si disfano in pochi attimi lasciandoci nella nebbia più fitta.
La potenza devastante del ‘blue whale’, proprio per come è strutturato, è che offre un ritualità, certo macabra macabra, ma che dà visibilità. Si ha la sensazione di costruire una storia, una narrazione, con tutti gli ingredienti che sono il pane quotidiano per un adolescente: pericolo, eccitazione, sfida.
E infine, quasi ad incarnare i propri demoni, si diventa il vuoto da cui si scappa.
I ragazzi che saltano nel vuoto, che non a caso si filmano, ci schiaffeggiano con una domanda, ce la pongono con i loro corpi lanciati nel vuoto: noi saltiamo nel vuoto ma chi ci tiene? Ci urlano in faccia ”non c’è nessun che ci prenda, non c’è nessuno che sedendo con noi davanti al baratro ci dica fa paura ma sono qui con te, anche io ha avuto paura, anche io sono stato disperato eppure ho continuato a cercare, perché forse la vita non ha senso ma vale la pena cercare fino alla fine”.
Ecco allora che anche la diffusione mediatica, e la relativa spettacolarizzazione, di un fenomeno così drammatico produce proprio ciò che tenta di combattere, fornendo una via di uscita, seppur mortale, a chi vie di uscite crede di non averne.
Beh se gli ‘adulti’ invece di divulgare così tanto questa faccenda, in prenda al panico perché non sanno cosa fare, sedessero con i loro figli a legger Moby Dick forse le balene…
Alfredo Toriello, Psicologo